Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
due giudici siciliani che hanno dedicato la loro vita alla lotta contro la mafia. Di loro si racconta che da adolescenti giocavano a pallone nei quartieri popolari di Palermo e che fra i loro compagni di gioco ci fossero probabilmente alcuni ragazzi che in futuro sarebbero diventati uomini di "Cosa Nostra". Ripercorrendo alcuni fatti realmente accaduti nella loro vita, e attraverso alcune frasi da loro pronunciate in discorsi e scritti e quelle di altri testimoni del nostro tempo quali Alberto Dalla Chiesa, don Pino Puglisi, don Tonino Bello, è nato lo spettacolo, che fa incontrare i due giudici e li fa interagire in una sorte di dialogo impossibile su ciò che loro pensavano del dovere, delle mafie, della morte; la performance si chiude con un estratto del libro di J.Giono L'uomo che piantava gli alberi, raccontato da Borsellino, che sottolinea la gratuità nell'impegno e nella passione, sempre più difficile da trovare ai giorni nostri.
«Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali,quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana.»
Lo spettacolo
la rappresentazione inizia con un 'escamotage teatrale: il commento di Borsellino ad una sua foto con Falcone, che solo dopo la strage di via D'Amelio è diventata uno dei simboli dell'unione fra i due magistrati palermitani.
E' uno spettacolo che si rivolge soprattutto alle giovani generazioni, parla di coraggio, speranza, pace, attraverso un dialogo immaginario tra Falcone e Borsellino, dal quale emergono riflessioni sulla vita dei due magistrati uomini, eroi della lotta alla criminalità organizzata, uccisi a distanza di cinquantatre giorni l'uno dall'altro.
Sul palcoscenico l'attore li interpreta, alternandoli nel pensiero, con un semplice cambio di abito e con alcuni oggetti identificativi
La sceneggiatura sonora è affidata a suoni e rumori che richiamano l'ambiente di un ufficio in un palazzo di giustizia, con sirene, tasti pigiati sulla macchina da scrivere, squilli di telefono, passi.
La scenografia è scarna ed essenziale.
Dalle parole di Falcone e Borsellino emerge la speranza: in un mondo migliore, in una giustizia più efficace, in un maggiore impegno civico nelle generazioni future.
Allora l'interrogativo del titolo si risolve positivamente: è possibile parlare di speranza anche laddove sembrava non esserci più, è possibile tornare a dialogare anche dove il dialogo sembrava finito; perciò il finale dello spettacolo è un racconto fiabesco: la storia di un uomo che attraverso la passione e l'impegno fa tornare la vita e la voglia di comunicare in un villaggio semi deserto, in una zona arida.
Al fine di attualizzare le parole dello spettacolo e incarnarle nel momento storico che stiamo vivendo,se gradito, al termine dello stesso interverrà un ospite membro di organizzazioni o istituzioni impegnate in prima linea nella lotta alle mafie.
"Valeva la pena?" è stato adottato DAL CENTRO STUDI Paolo Borsellino di Palermo e dalla sezione di Libera Vallecamonica.